Peter Bartoš

Estetica Ambientale
a cura di Mira Keratová
architettura espositiva di Petra Feriancová
   

29062019 \\ 07092019

Il lavoro di Peter Bartoš (1938), artista slovacco della nuova avanguardia, è documentato solo parzialmente, nonostante egli sia un esponente radicale della scena artistica slovacca.
La sua formazione di pittore ha rappresentato nel tempo il punto fondante del suo lavoro e una costante nelle conversazioni che ne scaturiscono. Sebbene le sue opere siano fortemente legate ai significati ontologici, allo stesso tempo si basano sull’analisi concettuale del mezzo pittorico e della sua innata struttura (innate structure). L’artista concepisce la creazione della forma (Primetouch) come un atto gestuale, o come un’azione. Non volendosi collocare ad un livello puramente simbolico dell’arte, indaga l’astrazione in natura la quale, assecondando un bisogno aprioristico della vita, si origina o genera, come si suol dire, da sé stessa; in questo modo egli ha voluto estendere le possibilità insite nella pittura e creare un lavoro che possa essere assorbito dalla natura, trasformandosi e riconvertendosi in essa. Ha realizzato numerosi esperimenti processuali con materiali di natura effimera tra cui la neve. Inoltre, ha formulato tre situazioni di A) concentration, B) accumulation e C) diffusion nel suo Physico-optical Manifesto (1969), dando seguito ad alcune riflessioni precedenti. Il suo modello concettuale della triade (con ABC come constanti in giallo, rosso e blu) è concepito come uno schema pluralistico, in antitesi a uno schema divergente di opposizione binaria (AB). La documentazione di questi lavori include una serie di quadri a tecnica mista (photoserial-paintings), disegni sovrapposti, fotocopie (ciclostili, xerox o xerox a zinco degli anni ‘70) o ancora montage, e imprints, quadri realizzati con impronte di polpastrelli o segni di camminata.

Bartoš non ha mai abbandonato le sue idee sull’arte non elitaria, capace di plasmare il concetto di cultura e allo stesso tempo influenzare le immanenti dinamiche della vita. Si è occupato della cultura dei piccioni (culture of pigeons) trasformando il suo hobby di fanciullo in un progetto artistico vivo. Dalla fine degli anni 60, egli inizia sistematicamente a possedere e gradualmente ad allevare piccioni, con l’intento specifico di rigenerare alcune specie selezionate. Disegnava piccioni (comprese specie estinte o immaginarie) con il suo tipico tratto lineare. In alcune note di accompagnamento ha inoltre analizzato le loro qualità estetiche (esteriori), altrimenti soggette a norme severe nel campo, menzionandone anche le qualità agonistiche e caratteristiche delle specie, etc. Adottando un approccio laico alla zoologia e alla genetica, egli concettualizza nei suoi disegni i processi di allevamento delle specie, come nel caso di un nuovo tipo di piccione viaggiatore da mostra, e delle sue caratteristiche estetiche. Bratislava’s aesthetic pigeon (1976), che lui ha definito il suo live readymade, vinse addirittura una gara di settore.

L’idea di Bartoš sulla cultura ecologica (ecological culture) non riguarda esclusivamente la selezione e rigenerazione di specie di animali domestici (cani, cavalli, piccioni etc.), ma anche della terra coltivata dall’uomo. Così facendo, il suo programma ambientale (environmental programme) si è sviluppato dallo zoomedia allo zoopark. La Domenica di Pasqua, giorno dell’inaugurazione di Forest-meadow ecopark Podháj (1972-1979), un parco che egli aveva disegnato nel distretto di Bratislava Lamač – ora ricoperto di vegetazione dopo una lenta e smodata semina – organizzò per i suoi amici una situazione socioeconomica (socioecological-situation) detta pascolo delle Pecore (Sheep grazing) (1979). L’incontro ebbe luogo in un “antico pascolo” che egli aveva preservato nel progetto del parco: la situazione doveva fare riferimento a funzioni pre-cristiane. Preso in prestito dallo zoo, un agnello di specie etiope richiamava gli agnelli delle comunità bibliche.

Dopo il 1979, Bartoš è stato assunto dal Giardino Zoologico di Bratislava (fondato nel 1960) in qualità di artista concettuale, lavorando lì fino al 1991. Nello stesso periodo lavorò inoltre nell’azienda di costruzioni Stavoprojekt come landscape designer per lo zoo. L’assunzione era finalizzata al disegnare l’ambiente per gli animali e a preparare i progetti ambientali del parco zoologico, avvalendosi della consulenza di zoologi.
Qui abbracciò il concetto di una nuova era olistica. Fece fronte ai particolari bisogni degli animali mettendoli in relazione con l’ambiente originale dei Carpazi, seguendone le logiche. In questo senso non lavorò soltanto sulle forme naturali del paesaggio, ma anche sulle rotte migratorie degli uccelli e la direzione del vento.
Nel 1980 prepara un elaborato saggio Elaborato I. Il Concetto di un Nuovo Giardino Zoologico di Bratislava (Elaborate I. The Concept of a New Bratislava ZOO Grounds), come estensione di alcuni studi risalenti al 1976. In collaborazione con alcuni esperti fra cui Vladimír Podhradský, zoologo ed esperto ambientale, Bartoš ha strutturato un ambiente zoologico in 3 pattern di tipologie paesaggistiche (ABC), suggerendone egli stesso l’utilizzo. Ha diviso l’ambiente in zone: A) forestale (forested), B) deforestata (deforested), C) zona rumorosa senza natura (denatured noisy zone). Questo principio di “incontro di tre ambienti” (ABC) fu da lui applicato anche nella progettazione di piccole aeree (e in una particolare località di: A) ambiente protetto di alberi (protected trees environment), B) ambiente recintato con cavalli Hucul (Hucul horses paddock environment), C) ambiente originale di bestiame, e altri (the original cattle environment, and others). In questo caso ha anche incorporato dei progetti imminenti per un palazzo in prossimità di un canale d’acqua potabile e un collegamento autostradale, per i quali due terzi dell’esposizione originale dello zoo furono distrutti dal 1981 al 1985.
Il progetto prevedeva l’inserimento di un padiglione dall’architettura più imponente nella zona rumorosa (noisy zone), situata nella parte sottostante lo zoo cittadino, che fosse da complemento alle voliere mobili.
Le zone relative alla parte di steppa (steppe) e di foresta (forest) andranno adattate al paesaggio. La più alta foresta di quercia dei Piccoli Carpazi dovrà essere preservata come un unico parco forestale protetto. Bartoš voleva inserire un recinto e strutture di allevamento per i cavalli Hucul, indigeni dei Carpazi, che parafrasando le sue parole “avrebbero completato l’idea di un paesaggio modellato secondo i Carpazi nel Museo all’Aria Aperta della montagna dei Cavalli Hucul (Open-air museum of mountain Hucul horses)”. Fu proprio il paesaggio locale dei Caparzi a diventare un tema centrale per Bartoš. Secondo il Concetto del paese Hucul (Concept of the Hucul country) al quale collaborò in via occasionale anche Július Koller, l’Hucul Club fu fondato nel distretto cittadino di Devin.
Esiste una documentazione estesa della soluzione di Bartoš per l’area zoologica nella sua interezza e divisa in biotopi particolari. La maggior parte della documentazione include piantine, topografie e studi dei profili, per i quali trasse ispirazione dai rilievi. Gli ecoconcepts dell’area più estesa, come ad esempio l’intera Mlynská dolina (Mill Valley) che includevano i giardini dello zoo, furono creati sulla base delle fotografie che Bartoš chiese di scattare dalla collina di fronte, Machnáč.
In seguito, esplorò il terreno nei minimi dettagli, tratteggiandolo in pennellate lineari e corredandolo di una mappa con note e leggende. Fu così che egli creò i disegni cartografici realizzati a mano, i quadri, le fotografie ridipinte o ridisegnate, gli ingrandimenti xerox e i montage. Il concetto di zoo di Bartoš fu applicato solo parzialmente e in modo discontinuo: (ad esempio il Lago Flamingo; il Lago Pygmy Hippopotamus in Liberia; l’habitat dei rinoceronti; una strada rialzata in terreno ripido per disabili); oggi una successiva stratificazione vi si sovrappone.

Dopo il cambiamento sociale del 1989, Július Koller scrisse al critico d’arte Tomáš Štrauss che “la politica si conferma come la vera cultura d’avanguardia, non l’arte, poiché è l’unica in grado di cambiare il mondo e la nostra esperienza di esso.”
Dopo la divisione con la Cecoslovacchia, Bartoš, che viveva a Bratislava ma che era nato a Praga, e che propugnava l’idea dell’Europeismo Centralista (Central-Europeanism) decise di rimanere “sopra la politica” e di non scegliere tra la cittadinanza Ceca o Slovacca. Inizia un progetto dal titolo Nomadart nel 1993.
Per sette anni è rimasto senza cittadinanza e ha attraversato il territorio di 5 stati dell’Europa Centrale. Disegnando un cerchio su una mappa, ha stabilito il percorso del suo viaggio partendo da un dato punto, secondo la premessa concettuale formulata anni prima del “punto di concentrazione che si irradia nello spazio” come “il primo e ultimo avamposto di destino e chiarezza”. Si presume che questo servì a chiarire il concetto di stato nazionale, contrariamente all’esperienza di Bartoš del mondo e la visione dell’Europa Centrale come una geo-regione. Punto per punto, viaggiò seguendo quel cerchio pedissequamente alle altitudini che aveva impostato (sopra la città slovacca di Žilina) verso le montagne, osservando i sentieri forestali calpestati dagli animali selvaggi, ignorandone i confini politici. Più di recente, ha continuato come in una spirale verso l’interno, avendo a che fare con la Podhradie (Castle settlement) di Bratislava. Dalla sua postazione, ha criticato le attività dei costruttori mentre elaborava il suo concetto di parco preistorico (prehistoric park), con un castello di rocce posto all’inizio dei Carpazi. L’Europa Centrale come “rilievo artistico” è per Bartoš “fatale, o addirittura prodotto della cultura o delle arti visive, georeadymade”. Durante le sue soste, Bartoš registra scrupolosamente le sue esperienze di viaggio attraverso mappe di paesaggi disegnate a mano e dipinte, delle quali produce fotocopie, ingrandimenti cut-out e montage. Visualizza situazioni casuali di paesaggi naturali e immagini mentali di nuovi concetti che le riguardano.
Ad ogni modo, per usare le parole del critico d’arte Jindřich Chalupecký (1968): “anche se l’artista in un sistema liberale ha ottenuto il diritto di rimanere libero, questa libertà è limitata solo a lui. Il mondo si fa strada guidato dalle persone pratiche.”

Mira Keratová

 

 

Tutte le immagini Courtesy Fondazione Morra Greco, Napoli
© Maurizio Esposito