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Palazzo Caracciolo di Avellino, di fondazione cinquecentesca, rappresenta nel suo complesso uno dei più cospicui insediamenti residenziali nel centro antico della città di Napoli, con una stratificazione rilevante e visibile in tutta la sua articolazione temporale, seppure parzialmente, dal Cinquecento al Novecento.
Il sito, che ospitava il convento delle monache benedettine di San Potito, fu dapprima dei Gambacorta, quindi dei Caracciolo de’ Rossi, prima di passare al ramo collaterale dei Principi di Avellino. Nel Palazzo abitò Torquato Tasso dal 1550 al 1554, come ricordato nella lapide collocata sulla facciata principale. Camillo Caracciolo (1563-1617) ne prevede l’ampliamento e l’adattamento a residenza, pur conservandone le preesistenze architettoniche conventuali.
Dal Largo Proprio di Avellino sono visibili le cinque campate del chiostro benedettino, mentre al primo piano la struttura monastica è pressoché inalterata, con corridoio e celle coperte da volte a schifo. Il biografo De Dominici attribuisce i lavori all’architetto Giacomo De Santis1.
A Francesco Marino Caracciolo (1688-1720) si deve invece l’ammodernamento di primo Settecento ed in particolare gli affreschi nella sequenza di stanze al primo piano, commissionati a Giacomo del Po. Il biografo De Dominici cita esplicitamente le “stanze basse e buie del primo piano”2 e l’intento del pittore di conferire loro più luminosità e volume. Gli affreschi rappresentano in gran parte finte architetture trattate a monocromo, alternate a tendaggi che lasciano scoprire grate decorate in oro, ancora parzialmente visibili. Riferendosi a strutture effimere e architetture da esterno, essi si pongono in relazione proprio ai limiti di spazio e di scarsa luminosità che in tal modo intendono trascendere. L’allusione a uno spazio aperto e illusoriamente sfondato giustifica la decorazione “totale” che investe sia le pareti che le volte a schifo, accentuando la contiguità concettuale tra interno ed esterno, che già governava l’idea del cortile quale perno conformativo dell’insediamento, spazio privato intersecato a spazio pubblico.
Il secondo piano ricalca la struttura del piano sottostante, con corridoio e sequenza di stanze, che tuttavia si presentano ben più ampie e alte di quelle del primo piano, caratterizzandolo come vero e proprio piano nobile. Il suddetto corridoio presenta tracce di affreschi più antichi rispetto all’ornamentazione variamente stratificata delle stanze attigue, compresa tra la fine del Settecento e gli anni Quaranta del secolo scorso. Un raro esempio di scala a calicò interamente scolpita nel piperno, estradossata rispetto alle mura perimetrali, collega questo piano al terzo.
Nel 1806, il Palazzo viene venduto e, da quel momento, frazionato e adibito a diverse funzioni (da scuola elementare ad appartamenti privati), subendo numerose trasformazioni. Le superfici affrescate del piano primo e parte delle decorazioni del secondo sono ricoperte da strati di scialbo e carta da parati.
Dal 1996 Maurizio Morra Greco inizia a comprare frazioni unitarie di Palazzo Caracciolo di Avellino, giungendo a ricomporne un’ala nella sua interezza nel 2007. Nel 2003, il Palazzo diviene sede ufficiale di Fondazione Morra Greco e dal 2006 ospita, al piano seminterrato, al piano terra e al primo, un intenso programma di mostre e residenze.
Dal 2015, grazie al contributo ottenuto attraverso la Regione Campania sul POIn “Attrattori Culturali, Naturali e Turismo” (FESR) 2007-2013, è oggetto di un intenso piano di ristrutturazione e restauro al fine di consentire, a partire dalle condizioni di degrado materico e strutturale in cui versava, la sua trasformazione in un complesso espositivo di levatura museale e di interesse internazionale. Le antiche ricchezze del Palazzo sono così riportate alla luce, fino al ritrovamento nel piano basamentale di resti di mura greche.
Dal V a.C. secolo ad oggi, Palazzo Caracciolo di Avellino ha vissuto moltissime vite. Di esse, porta le tracce che oggi sono a noi visibili, a emblema della stratificazione e delle contraddizioni che caratterizzano la città di Napoli intera. Fondazione Morra Greco sta cominciando a scrivere una nuova storia del Palazzo, e intende farlo nel coinvolgimento del territorio e nel dialogo tra le comunità e gli artisti.
1. B. De Dominici, Vite de pittori, scultori ed architetti napoletani
2. B. De Dominici op. cit.