David Maljković

a cura di Gigiotto Del Vecchio

30.10.2009 \\ 26.02.2010

Parlare di futurismo in rapporto a David Maljković (Rijeka, Croazia, 1973), risulta appropriato: l’artista ha stabilito un intenso dialogo poetico con il grande movimento d’avanguardia, pur mantenendosi ad una certa distanza così da evitare un inappropriato assorbimento totale. Nel testo che accompagna l’installazione Again for Tomorrow (2003), uno dei suoi viaggi attraverso la storia, Maljković incontra i futuristi, vi stabilisce un scambio dialettico, cercando però di mettersi al riparo dall’essere coinvolto in qualsiasi possibilità nostalgica.

David Maljković osserva il cambiamento, la velocità con cui, in una società postfordista e liberale, ci si libera con estrema naturalezza di ogni cosa e si procede ad una metodologia di avvicendamento, di frenetico cambiamento e continua sostituzione, in cui l’oggetto o il pensiero vengono consumati e si alternano a ritmi sostenuti. Il focus attorno cui si sviluppa buona parte dell’opera dell’artista croato è l’architettura, la dimensione urbana e sociale in cui essa si inserisce, con tutto il suo bagaglio di significati persi ed anche ritrovati, riposizionati all’interno di una nuova possibile, dinamica e fantastica evoluzione.

Vi sono simboli che mutano il proprio significato se modifica il contesto attorno a loro, se si perdono quelle istanze esistenziali e politiche che ne determinano la loro funzione e fruizione pubblica. Crescere in un paese ex socialista, credo rafforzi la percezione del simbolo architettonico come importante elemento di comunicazione e celebrazione del potere, formando nei cittadini una sorta di coscienza simbiotica con la struttura urbana in cui vivono. David Maljković osserva la perdita di funzionalità di alcune di queste realtà architettoniche cercando di dar loro un’ulteriore possibilità esistenziale. Una operazione fortemente prismatica, razionale, nel tentativo di stabilire un contatto da cui scaturisca una possibile articolazione intellettuale e politica in cui concetti quali conservazione e superamento siano al centro della discussione. Ma al contempo un’operazione estremamente poetica, visionaria, utopica. David Maljković si appassiona alle strategie del re-enactment, del rimettere in scena, di strutturare una possibile relazione tra finzione, simulazione e realtà e, cosa ancor più interessante, estende questa “strategia”, di ripetizione e differenziazione, all’interno di contesti specifici quali le mostre d’arte contemporanea.

L’opera complessiva di David Maljković si è sviluppata nel corso degli anni a partire da due progetti in relazione tra loro, la trilogia Scenes from new heritage 1-3 (2002-2006) e These Days (2005). Entrambi i progetti partono da opere video e si sviluppano con l’ausilio di installazioni, fotografie e collages. Il progetto alla Fondazione Morra Greco è in rapporto di continuità con questi primi lavori. Il focus dell’ opera è il padiglione italiano alla fiera di Zagabria, altro elemento cardine della storia dell’architettura moderna all’epoca di Tito, disegnato dall’architetto napoletano Giuseppe Sambito e oggi in stato di semi abbandono dopo il prestigioso utilizzo e la considerazione goduta negli anni ‘60 e ‘70. David Maljković approfitta della mostra napoletana per approfondire l’operato di Sambito, partendo dal presupposto che pochi sono gli elementi a disposizione di chi volesse fare ricerche su questo architetto. L’intenzione è quella di ristabilire una discussione sull’attività di Sambito partendo proprio dal padiglione italiano, per arrivare a tutto ciò che è stato sviluppato successivamente. Un’operazione a ritroso che, prendendo le mosse dalle origini culturali di Sambito – del quale Maljković non tenta in alcun modo raccontare la biografia – si proietta nel futuro rinnovando la discussione attorno al senso ed alla funzionalità in divenire del suo operato.

 

 

Tutte le immagini Courtesy Fondazione Morra Greco, Napoli
© Danilo Donzelli