Phtongos

Fabrizio Cotognini
a cura di Lorenzo Benedetti

22.02.2024 \\ 30.03.2024

La mostra

Phtongos è il titolo della mostra personale di Fabrizio Cotognini che si sviluppa negli spazi al terzo piano della Fondazione Morra Greco. Per l’occasione, l’artista ha realizzato una serie di nuovi lavori concepiti a partire dallo studio dell’araldica, dei simboli, e delle iconografie di Palazzo Caracciolo d’Avellino, sede della Fondazione.

Attraverso una ricerca d’archivio e uno studio della simbologia ornamentale settecentesca, dei suoi significati esoterici e celebrativi connessi all’aristocrazia e alla storia della città e delle famiglie nobili di Napoli, Phtongos è una ricerca attorno al patrimonio storico, artistico ed architettonico della città, svolto attraverso disegni, proiezioni e scultura.

Il titolo della mostra si riferisce con un’unica parola alla voce degli uomini, la voce degli esseri mostruosi e il canto delle sirene.
Phtongos e Ligure aoide sono infatti le parole usate da Omero per descrivere la voce delle sirene, figure mitiche molto care all’immaginario napoletano e campano. Il fil rouge della mostra è proprio il recupero, la ricostruzione e la riproposizione di diversi esseri antropomorfi appartenenti all’iconografia delle Sirene del territorio locale, a partire dall’antico culto della Sirena Partenope, protettrice della città.
Già l’iscrizione in latino di una frase di Epicuro – «Dum Vesuvii Syren Incendia Mulcet» – si riferisce a questo essere mitologico sintetizzando il rapporto alchemico che vi è fra acqua e fuoco (maschio-femmina): la “Sirena addolcisce l’ardore del Vesuvio”, un riferimento alle ribellioni del popolo napoletano che insorgeva fiammante come il Vesuvio.

Attraverso le sue opere, Fabrizio Cotognini sviluppa un dialogo diretto con alcuni dei ritrovamenti artistici scoperti durante il restauro di Palazzo Caracciolo d’Avellino e ci guida in un percorso attraverso le metamorfosi uomo-animale, pianta-animale, vegetale-umano, generando una riflessione su tematiche attuali quali la politica, la sociologia e l’ecologia.

Disegni di grandi dimensioni e minuscole sculture occupano le sale della Fondazione Morra Greco, dando al visitatore la possibilità diretta di un dialogo visivo, ma anche magico, con esseri simbolici che spesso attraggono la nostra curiosità per la loro bellezza e la loro bizzarria, ma che difficilmente vengono letti per i caratteri che custodiscono in fatto di simbologia e narrazione. Custodi di storie antiche ma anche attuali, così da intraprendere un viaggio in quello che Agamben chiama “archeologia contemporanea”: dove i saperi attuali trovano fondamenti nell’antropologia, nel territorio e nel sociale.

Testo di Giulia Pollicita

Biografia dell’artista

Fabrizio Cotognini (Macerata, 1983) vive e lavora a Civitanova Marche. La sua ricerca è caratterizzata da un costante rimando all’antico rivisitato in chiave contemporanea. Tempo, memoria, mito sono elementi centrali nel suo lavoro, esplorati attraverso la storia, la letteratura, l’architettura e il teatro. Nelle sue opere questi linguaggi si incontrano e si fondono dando vita a complesse narrazioni in cui iconografia e scrittura si potenziano vicendevolmente. ll suo medium d’elezione è il disegno, declinato su tavola – spesso intervenendo su incisioni antiche di cui è collezionista appassionato – in forma di libro d’artista o in diari di lavoro.
Appassionato di alchimia, conduce un’instancabile e metodica ricerca e sperimentazione su materiali e processi di produzione sia per opere bidimensionali sia per la scultura, in particolare dedicandosi, negli ultimi anni, alla microfusione.
Diplomatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata in Pittura e Scultura nel 2009 e vincitore o finalista di diversi premi artistici italiani, tra cui il premio Cairo, ha iniziato nel 2003, appena ventenne ad esporre in mostre collettive e dal 2011 in mostre personali sul territorio italiano. Ha realizzato progetti site-specific su invito e commissione di istituzioni pubbliche, fra cui Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Parco dei Fori Imperiali, Roma; Palazzo Buonaccorsi, Macerata; Teatro Anatomico dell’Archiginnasio, Bologna; American Academy, Roma; Museo Archeologico, Salerno; Palazzo Ducale, Urbino; Palazzo Magnani, Reggio Emilia; Pastificio Cerere, Castel Sant’Elmo. Le sue opere sono state esposte anche all’estero, fra cui presso ICI, Berna; Oficina, Barcellona; Hero gallery, Amsterdam; ICI, Caracas; Centro de Desarrollo de las Artes Visuales, La Havana; National gallery, Georgia. Il suo lavoro è stato presentato in importanti manifestazioni tra cui la Biennale di Thessaloniki, Manifesta 12, la Biennale del Disegno, la Biennale del Mediterraneo e eventi collaterali della Biennale di Venezia.

 

Biografia del curatore

Lorenzo Benedetti è un curatore e scrittore di base a Parigi. Recentemente ha curato la mostra Seth Siegelaub: textile art theory alla Triennale di Milano e Fondazione Ratti, Considered agreement di John Knight e Antonio Ratti dream’s, entrambe alla Fondazione Ratti di Como, dove è co-direttore del programma CSAV Art-Lab. È stato direttore del centro artistico de Appel di Amsterdam, dell’Art Center De Vleeshal di Middelburg, nei Paesi Bassi, e del centro d’arte Volume! a Roma. Nel 2004 ha fondato il SoundArtMuseum a Roma. Le sue mostre e i suoi progetti sono stati realizzati, tra gli altri, presso il Museo Marta Herford in Germania, La Kunsthalle Mulhouse, Kunstmuseum St.Gallen in Svizzera. Curatore del Padiglione olandese per la 55a Biennale di Venezia con un progetto di Mark Manders.

La parola al curatore

Già dal titolo della mostra si entra nel mondo affrontato da Fabrizio Cotognini che ripercorre uno dei temi più affascinanti dell’immaginario umano: il rapporto con le creature fantastiche che si perdono nella profondità della storia.

La sua ricerca si lega al contesto dell’edificio storico di Palazzo Caracciolo di Avellino nel cuore della città di Napoli, anch’essa così ricca di stratificazioni culturali. Grazie al lavoro di restauro realizzato dalla Fondazione Morra Greco si è restituito al pubblico la bellezza dell’edificio, in cui sono comparsi importanti cicli di affreschi realizzati in epoca barocca da Giacomo del Pò. Da questo contesto Cotognini ci da la chiave d’accesso che si combina con quell’analisi etimologica che si espande a tutta una serie di elementi viventi nello spazio espositivo. Suono e disegno, riproduzione e trasformazione, migrazione e sopravvivenza, tutto si sviluppa in una serie di elementi che rendono visibili tempi e storie diverse, e allo stesso tempo ci fanno entrare in un dedalo di possibili storie. Proprio un suono diventa la partenza di un’analisi che ripercorre e trasforma una serie di temi ricorrenti nella cultura dagli assiro babilonesi fino ai nostri giorni. Dalle ricerche di Berio sulle sirene, fino all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, la colonna sonora della mostra, composta dal musicista Riccardo Michetti, è un mosaico di suoni e elaborazioni che ripercorrono il soggetto delle sirene.

L’attività di assiduo disegnatore porta la sua opera a riflettere su una serie di temi iconografici che dialogano direttamente con il passato. I termini iconografici intrinseci nell’opera di Cotognini si richiamano e partono dalla profondità della mitologia attraversando personaggi, artisti e scrittori di diverse epoche. Un omaggio all’immaginazione e alcuni dei suoi protagonisti, a partire da Gustavo Rol o Jimmie Durham, con i suoi totem in cui animali e oggetti sono intrinsecamente legati, passando poi da Gustave Moreau a Kiki Smith. Un intreccio tra disegni e riferimenti fantastici viene elaborato in continuazione dall’artista. Utilizzando come strumento l’incessante attività di disegno e di scrittura di note e riferimenti, Cotognini gioca su associazioni, citazioni e riferimenti che portano alla contaminazione e alterazione della realtà. Questa attenzione al contesto circostante viene deformata dalla continua ricerca e recupero di elementi storici che si perdono nell’antichità più profonda ma contemporaneamente sono accanto a noi sempre attivi o prossimi ad attivarsi. Riprendendo il Manuale di zoologia fantastica di Jorge Luis Borges si entra in una struttura di incessanti rimandi culturali storici ma soprattutto di radici etimologiche che cercano di tessere quelle trame del tempo che hanno intrecciato, conservato e trasformato lo stesso suono e significato. Queste tracce sembrano essere riprese dal tratto dei suoi disegni. Al centro del progetto allestitivo l’artista mette delle vetrine con i dettagli della ricerca che collega mitologia, storia, filosofia, linguaggio in un unico caleidoscopico immaginario artistico. Le annotazioni sui riferimenti ma anche l’attenzione agli aspetti tecnici come le sigle dei colori che hanno tutti una particolare simbologia.

Viaggiare attraverso la storia e il tempo per fuggire il presente, ma allo stesso tempo riportare tutto ad una concentrazione attuale. La citazione è un uso di un riferimento esistente che deforma la scrittura presente. E in questo gioco di ripetizione, l’artista riprende Deleuze nella formulazione che l’unica cosa identica nella ripetizione è la sua differenza. Cotognini riprende questo pensiero nel copiare e deformare la realtà riallacciandosi in questo modo all’enorme corpus di elementi di drôlerie che abitano il nostro immaginario collettivo. Nella visionaria immaginazione di Cotognini ci imbattiamo spesso nel concetto di migrazione sviluppato da Aby Warburg. Temi e soggetti mitologici vengono attivati in modi diversi dopo secoli di trasformazioni e passaggi attraverso popoli e culture diverse. In questo modo nell’opera di Cotognini non troviamo solo quell’attenzione alle storie antiche che si risvegliano attorno il nostro immaginario collettivo, ma anche all’azione di trasformare e reinterpretare questi viaggi culturali che trovano sempre dei nuovi nidi in cui riprodursi. Non è un caso che un certo tipo di sopravvivenza culturale, sempre per rimanere con Warburg, si leghi così fortemente a quel concetto biologico e biomorfico che è relativo alle drôlerie. Il mondo naturale nelle sue probabili possibilità di manifestazione di esistenza ci porta a continuare quell’immaginazione del possibile attraverso una serie di integrazioni, trasformazioni e dunque metamorfosi che pongono la cultura sullo stesso piano della biologia, cioè quell’essenziale esigenza di sopravvivenza. E per affrontare questo compito la cultura cerca un’analogia nel carattere biologico principale che è quello di adattarsi. La cultura si adatta per sopravvivere e come la natura ha due possibilità principali: o si trasforma o si iberna per trovare delle condizioni migliori nel futuro. Questo parallelismo alla biologia pone un discorso fondamentale del valore culturale in rapporto al contemporaneo.

Testo di Lorenzo Benedetti