Christian Waldvogel

Hybrid Naples: l'ordine delle idee deve procedere secondo l'ordine delle cose
A cura di Jörg Heiser
 
Nell'ambito di Progetto XXI

19062013 \\ 05102013

La Fondazione Morra Greco è lieta di presentare i nuovi progetti personali di Christian Waldvogel (Zurigo) e Eric Wesley (Los Angeles), seconda mostra della serie intitolata Hybrid Naples: l’ordine delle idee deve procedere secondo l’ordine delle cose.

Waldvogel, in omaggio al grande filosofo Giordano Bruno che studiò a Napoli, presenta una macchina che produce pianeti mentre Wesley espone l’armatura di un cavaliere prodotta accuratamente attraverso delle specifiche indicazioni dell’artista (maggiori informazioni nel testo a seguire).  In questo modo, entrambi i lavori spingono il progetto non solo in una prospettiva dichiaratamente storica in una città marcata da 300 anni di confluenze culturali ma espongono la drammatica fluttuazione tra tempi e spazi apparentemente distanti ed oggetti al contempo storici e contemporanei.

Il titolo del ciclo sgorga da una riflessione sulla città di Napoli come monumento continuamente ricostruito fino al raggiungimento di una forma totalmente ibrida. “La città aperta è come Napoli, la città chiusa è come Francoforte”, ha scritto Richard Sennett nel 2006. Qui Napoli è intesa come una città in continuo mutamento, in cui il processo di adattamento deriva dalla capacità d’improvvisazione dei suoi abitanti, accogliente nei confronti della diversità e della dissonanza (nel bene e nel male) piuttosto che ad un’omologazione sovradeterminata. Oltre alla raffigurazione dello stato attuale delle cose, l’idea di una Napoli ‘aperta’ e ibrida deriva dai suoi ultimi 3000 anni di storia: un luogo dove greci, etruschi, romani, spagnoli, tedeschi, olandesi, e molti alti altri hanno lasciato il loro segno.
Come realtà culturale e tecnica, l’ibridità – ossia l’incrocio e la mescolanza di influenze e di elementi culturali diversi – è diventata un fenomeno fortemente accelerato dai progressi tecnologici contemporanei, che spaziano dall’importanza delle comunicazioni sociali fino all’uso della tecnologia digitale e la sua accessibilità da parte degli artisti. L’attuale concetto di ibridità incide in maniera immediata sulla nostra percezione dell’arte contemporanea, che potenzialmente potrebbe essere qualunque cosa. Tuttavia, l’ampiezza di metodi e di motivi a cui sono aperti gli artisti di oggi non va considerata come pura casualità. Questo concetto viene ribadito dal sottotitolo della mostra: l’ordine delle idee deve seguire l’ordine delle cose. Si tratta di una citazione del grande filosofo napoletano Giambattista Vico (1668-1744), tratta dalla sua opera principale, Scienza nuova (1725), in cui sostiene che la civiltà si sviluppa in cicli ricorrenti. L’assioma “l’ordine delle idee deve seguire l’ordine delle cose” ci chiede di considerare il fatto che la nostra esperienza comune dà origine a idee condivise, piuttosto che il contrario (un’anticipazione del famoso detto di Karl Marx, “l’essere determina la coscienza”).

Partire da questa riflessione come spunto per la serie di mostre in corso, significa affermare che le idee espresse dagli artisti nei loro rispettivi progetti deriva indissolubilmente dalla loro esperienza di vita e dal suo riflesso nei processi cognitivi – al contrario dell’emersione di idee che siano state concepite in precedenza in modo casuale e calate dall’alto sul luogo, o che siano semplicemente gli esiti di istruzioni prescrittive impartite da un curatore che richiede una rappresentazione dell’ibridità.

La prima installazione di Max Frisinger – con il suo intervento scultoreo che ha coinvolto le ali di un aliscafo  o semplicemente i ponteggi lignei nascosti dietro alle porte – e Shana Moulton – con i suoi divertenti e surreali video che esplorano le insolite bizzarrie della vita quotidiana, così come lo stile di vita esoticizzante e spiritualista della New Age e la decorazione d’interni- erano la prima rappresentazione dei concetti espressi. Adesso è il turno di Christian Waldvogel ed Eric Wesley.

L’oggetto di studio di Christian Waldvogel è lo spazio. Incluso il pianeta terra. Ciò non ha niente a che fare con la megalomania ma con la concettualità. In occasione della Biennale di Architettura di Venezia del 2004, con la sua visione futurista Globus Cassus, ha rigirato la terra come un guanto, e nel 2010 Earth turns without me coinvolgeva la partecipazione di un jet da combattimento svizzero durante le normali operazioni di volo. Volando verso ovest ad una velocità di 1158 km / orarie , il sole, visto dalla cabina di pilotaggio, restava immobile – finché questa velocità, uguale alla velocità di rotazione della terra, era mantenuta. Waldvogel ha trasformato la cabina di guida in una camera oscura per scattare una foto del sole ancora fermo. L’elaborato processo ha portato ad una semplice, umile immagine. A titolo di esperimento reale e speculativa indagine scientifica, Waldvogel spinge concettualismo e land art verso l’astronomico.
Con il suo progetto per Hybrid Naples, Waldvogel si rivolge a Giordano Bruno, il grande filosofo nato a Nola in provincia di Napoli. Con la sua cosmologia, influenzato da Copernico e Nicola Cusano, Bruno ha definito la casualità come legge dell’universo di dio, e fu presumibilmente il primo ad affermare, con il suo De l’infinito universo e mondi, pubblicato nel 1584, che le stelle nel cielo sono davvero altri soli, e che di conseguenza, una pluralità di altri pianeti, simili alla terra, girano intorno al sole e alla terra stessa. La sua visione è risultata corretta secondo gli studi astronomici moderni (il 6 giugno 2013, 891 pianeti extrasolari sono stati identificati), ma allora, questa fu una delle numerose eresie che portarono Bruno ad essere processato dall’inquisizione, imprigionato per sette anni, e bruciato sul rogo a Roma, nel 1600.
L’omaggio di Waldvogel al grande nolano è Chance Encounters of Happenstance and Negative Entropy (2013). Si tratta di una macchina apparentemente semplice nel funzionamento ma effettivamente complicata da un punto di vista progettuale: una candela brucia sulla cima di un telaio in metallo simile ad un piedistallo, gocce di paraffina colano in un imbuto riscaldato, e sotto, due assi rotanti – programmati per girare randomicamente – sono in grado di produrre un globo: gli ‘altri’ pianeti di Bruno. Durante il corso della mostra, questi pianeti saranno inseriti in cerchi in alluminio di una grande Armillary Sphere (2013), formando un immaginario sistema solare (reminiscenza delle storiche sfere armillari – dispositivi metallici destinati a rappresentare il nostro sistema solare – noti a Bruno ed ai suoi contemporanei). “Eppur si muove!”

 

 

Tutte le immagini Courtesy Fondazione Morra Greco, Napoli
© Amedeo Benestante