Matheus Rocha Pitta

Hybrid Naples: l’ordine delle idee deve procedere secondo l’ordine delle cose
A cura di Jörg Heiser
 
Nell'ambito di Progetto XXI

26102013 \\ 02122013

 

THE AGREEMENT

La Fondazione Morra Greco è lieta di annunciare il terzo appuntamento della rassegna espositiva intitolata Hybrid Neaples: l’ordine delle idee deve procedere secondo l’ordine delle cose con due nuovi progetti personali di Matheus Rocha Pitta (Rio de Janeiro) e Klaus Weber (Berlino).

L’installazione di Weber è un omaggio ai napoletani. Nello spazio al primo piano della Fondazione, l’artista colloca alcune sculture tratte da soggetti e oggetti della vita quotidiana come un gatto, la porta di un garage e una coppia di ragazze sdraiate su una coperta di Burberry. Le sculture, negativi di calchi in gesso, popolano la sala intorno alla figura centrale di un uomo che schiaccia un pisolino su una panchina, quasi fossero l’incarnazione delle sue visioni oniriche. Al piano seminterrato della fondazione Matheus Rocha Pitta, traendo inspirazione da steli funerarie dell’antica Grecia che raffigurano il defunto nell’atto di stringere la mano a una divinità, presenta una serie di lastre di cemento che alludono a tombe, in cui l’artista inserisce però ritagli di giornali di tutto il mondo con immagini di persone, spesso influenti, che compiono gesti che suggeriscono intesa, come una stretta di mano, un abbraccio, in alcuni casi un bacio.

Il titolo della rassegna nasce da una riflessione sulla città di Napoli e sul suo ruolo di simbolo di ibridazione in continua trasformazione. Scrisse Richard Sennet nel 2006: “la città aperta per eccellenza è Napoli, la città chiusa è Francoforte”. Qui Napoli è intesa come città dotata di capacità di improvvisazione, e quindi di adattamento, e come luogo capace di accoglienza (nel bene e nel male) nei confronti della diversità e della dissonanza, in contrapposizione con un modello urbano di sovradeterminata omologazione. L’idea di città ‘aperta’ e ibrida non si riferisce tuttavia soltanto a uno stato di fatto attuale, ma è legata ai suoi tremila anni di storia in cui greci, etruschi, romani, spagnoli, tedeschi, olandesi e molte altre culture hanno lasciato il segno del loro passaggio.
L’ibridazione intesa come tecnica e realtà culturale di intersezione e mescolanza di elementi e influenze culturali diverse è un fenomeno che in anni recenti ha subito un sorprendente processo di accelerazione grazie a fattori tecnologici di varia natura, dallo sviluppo dei social media all’utilizzo della tecnologia digitale da parte degli artisti contemporanei, e che influenza quella che oggi consideriamo arte contemporanea e quindi, potenzialmente, ogni aspetto della realtà. Sarebbe tuttavia un errore attribuire un carattere di casualità all’ampiezza di tecniche ed elementi possibili che caratterizza il lavoro degli artisti contemporanei. A questo si riferisce la citazione del grande filosofo napoletano Giambattista Vico (1668-1744) che costituisce il sottotitolo della mostra: “l’ordine delle idee deve procedere secondo l’ordine delle cose”, tratta dalla famosa Scienza nuova (1725), l’opera più importante di Vico, in cui il filosofo teorizza lo sviluppo della civiltà umana in termini di ricorso ciclico. L’assioma “l’ordine delle idee deve procedere secondo l’ordine delle cose” ci impone una riflessione sul fatto che l’esperienza condivisa, tipica dell’epoca in cui viviamo, genera idee condivise e non il contrario (un’anticipazione della famosa proposizione di Karl Marx secondo cui “l’essere determina la coscienza”).

Prendere questo concetto come spunto della mostra significa volere affermare che alla base dell’opera vi sono l’esperienza dell’artista e il riflesso che questa esperienza assume nei suoi processi cognitivi, e non il contrario: le idee non sono prodotti casuali o preconfezionati che l’artista ‘lancia’ allo spettatore, né il mero risultato di indicazioni date dal curatore alla ricerca di immagini di ibridazione.

Le prime installazioni, con i rigorosi interventi sculturali di Max Frisinger e i video divertenti e surreali di Shana Moulton, ne sono un esempio, così come l’opera realizzata da Christian Waldvogel in omaggio a Giordano Bruno, una macchina alimentata da una candela che produce pianeti di un universo immaginario, e quella di Eric Wesley, che presenta la versione contemporanea di un’armatura in uno spazio trattato come una spettacolare messa in scena televisiva. Ora è il turno di Matheus Rocha Pitta e Klaus Weber.

L’opera di Matheus Rocha Pitta si occupa del rapporto fra macerie e rifiuti e la circolazione di immagini e oggetti. In una grande mostra tenutasi nel 2012 al Paço Imperial di Rio de Janeiro, l’artista raccoglie alcune macerie recuperate dalla demolizione di un edificio modernista e le racchiude in sacchi trasparenti che colloca dietro a finte pareti costruite per l’occasione. Alcune di queste pareti presentano una stretta apertura che permette di intravedere all’interno: quei sacchi sono un’ allusione alle merci di contrabbando. Analogamente, in opere precedenti come il lavoro fotografico Drive Thru #1 (2007), realizzato durante una residenza a Austin in Texas, l’artista ‘confisca’ della terra, la raccoglie in sacchi di cellofan che fanno pensare a sacchetti di droga e li dispone davanti a una recinzione sotto i fari puntati di un’auto, ricreando in questo modo un’immagine che ricorda le fotografie create ad hoc per testimoniare i successi nella lotta contro il narcotraffico.
Per il progetto di Napoli, intitolato The Agreement (L’Accordo), Rocha Pitta utilizza un nuovo mezzo che consiste nel versare il cemento su materiali di risulta, una mescolanza fra tecnica del calco e del collage, che ha origine da un sistema piuttosto frequente ed economico di rivestire le tombe: per chi non può permettersi il marmo o il travertino, si utilizza la lastra di cemento. In genere, per evitare che la gettata di cemento aderisca all’armatura di legno, la si ricopre di giornali: nel momento in cui il cemento si indurisce, la carta di giornale che aderisce alla parte inferiore della lastra ne diventa parte integrante. L’ironia sottesa è che in questo modo anche i morti avranno qualcosa da leggere, e che l’opera d’arte ‘morta’ può nascondere concetti importanti in attesa di essere svelati. Un altro aspetto importante della scelta di questa tecnica consiste nel fatto che proprio nella regione di Napoli prima i greci e poi i romani incominciarono a utilizzare la pozzolana. Inoltre, a Napoli Rocha Pitta si imbatte per la prima volta in alcune steli funerarie dell’antica Grecia che ritraggono il defunto nell’atto di stringere la mano a una divinità, un gesto che doveva garantire a quella persona che anche dopo la morte avrebbe continuato a godere della protezione divina. Rocha Pitta riflette sulle migliaia di immagini trasmesse dai media contemporanei di persone che si stringono la mano, che si abbracciano e si baciano e così facendo segnalano e mettono in scena una forma di intesa, e ricopre le lastre di cemento con alcune di queste immagini suddivise in serie di dittici. La sala sotterranea della fondazione si trasforma così in una sorta di cripta, una celebrazione della natura paradossale dell’accordo inteso come affermazione di cambiamento.

 

 

Tutte le immagini Courtesy Fondazione Morra Greco, Napoli
© Amedeo Benestante